Umanità Nova, 28 febbraio 2016
di DNA
Sembra un noir, con colpi di scena che tengono incollati il
lettore fino all'ultima pagina. Ma a differenza dei romanzi che sono frutto
della fantasia dell'autore, quella raccontata nel nuovo libro di Nicoletta
Orlandi Posti è una storia dannatamente vera: quella delle bombe che il 12
dicembre 1969 scoppiarono a Roma sull’Altare della Patria, all'ingresso del
Museo del Risorgimento e all’interno della Banca Nazionale del Lavoro di via
Veneto nelle stesse ore in cui a Milano si consumava la strage di piazza
Fontana. Stesso tipo di esplosivo, stesse dinamiche, stessa vana ricerca degli
autori materiali: solo per circostanze fortuite non ci furono vittime, ma gli
attentati romani furono altrettanto significativi in quella che fu la strategia
delle stragi di Stato. Significativi, ma finora poco conosciuti e studiati.
Ecco allora che Nicoletta ne “Le bombe di Roma” (Castelvecchi) racconta
l'inchiesta e il processo che si è concluso con un nulla di fatto - i
responsabili non sono mai stati individuati, mentre persone innocenti hanno
trascorso in carcere diversi anni della loro vita pur non avendo fatto niente –
attraverso la strana vicenda di Udo Lemke, uno studente tedesco che la mattina
del 13 dicembre si presenta alla caserma di San Lorenzo in Lucina a Roma
sostenendo davanti ai carabinieri di sapere chi aveva messo le bombe all'Altare
della patria.
Udo è un personaggio strano, controverso, se vogliamo imbarazzante
e la sua storia ha dell'incredibile. Le la sua vicenda è a tutti gli effetti un
giallo sul quale è calato purtroppo in maniera definitiva il sipario.
Partiamo dall'inizio. Udo si presentò in caserma da testimone
sostenendo di aver riconosciuto gli attentatori che scappavano pochi minuti
dopo l'esplosione dall'altare della patria. Raccontò di essere un hippy che
viveva insieme ad altri capelloni nelle catacombe sotto la chiesa di Regina
Coeli. Appena sentito lo scoppio uscì e vide fuggire dei giovani che aveva
conosciuto qualche settimana prima in un suo viaggio in Sicilia. Gli stessi gli
avevano offerto un lavoro che lui aveva rifiutato: gli avrebbero dato un bel
po' di soldi se avesse lasciato delle borse in alcune piazze che gli avrebbero
indicato: non era nulla di pericoloso, non si sarebbe fatto male nessuno, ci
sarebbe stato uno scoppio e un po' di caos, niente di più. Al rifiuto di Udo
che ritenne la cosa illegale gli fu consigliato di lasciare l'Italia e di non
farsi più vedere in giro. Cosa che il tedesco non fece. Tornò infatti a Roma,
fu testimone degli attentati e la mattina dopo andò in caserma a raccontare
quello che gli era successo.
Da testimone, però diventò fermato. Subito dopo la
deposizione si aprirono per lui le porte del carcere: passò dieci giorni dietro
le sbarre in qualità di "teste a disposizione" poi anche dai
carabinieri gli fu intimato di lasciare l'Italia. Udo andò in Grecia. Nel
frattempo le indagini portarono a individuare i personaggi tirati in ballo da
Udo: si trattava di giovani fascisti siciliani ma gli inquirenti, a differenza
della controinformazione che subito dopo la strage di Piazza Fontana si era
messa in moto per scagionare Pietro Valpreda e gli anarchici del “22 marzo”,
ritennero che non avessero nulla a che fare con quella storia.
Udo passò una quarantina di giorni in Grecia poi decise di
tornare a Roma, ma non appena arrivato nella Capitale venne arrestato. Una
signora americana aveva denunciato la scomparsa dei suoi gioielli, la polizia
con un mandato di perquisizione li cerca nella stanza dell'albergo appena
affittata da Udo, da una sua giovane amica canadese e da un austriaco che aveva
conosciuto la sera prima. I poliziotti nella stanza non trovano i gioielli, ma
un pacco con dentro nove chili di hascisc. L'austriaco durante la perquisizione
riuscì a fuggire, Udo e la ragazza invece vennero arrestati. Dopo quattro mesi
di carcere il processo: la canadese venne prosciolta da ogni accusa, Udo fu
condannato a tre anni di reclusione per detenzione a fini di spaccio. A quel
punto il tedesco andò fuori di testa e fu trasferito nel manicomio criminale di
Perugia per disturbi del contegno dove non fu possibile per nessuno
avvicinarlo.
Due mesi prima dell'apertura del processo contro Valpreda e
gli anarchici, Udo nonostante non avesse terminato di scontare la pena, fu
accompagnato alla frontiera con l'ordine di non mettere più piede in Italia. I
compagni della controinformazione, però, ritenevano la sua testimonianza
fondamentale per scagionare gli anarchici e tentano in tutti i modi di
rintracciarlo.
Ci riuscirono Manrico Pavolettoni e Roska Oskardottir,
un'artista islandese, una femminista che varrebbe la pena conoscere più a fondo
perché è un personaggio fantastico purtroppo ancora inedito in Italia. Nel
libro viene raccontata anche la sua storia, la sua arte, le sue battaglie per i
diritti civili, le sue prese di posizione, le sue performance politiche come
quella durante un festival in onore del premio nobel per la letteratura
islandese Haldor Laxness o il blitz nella base aerea della marina americana di
Keflavik: entrò nello studio televisivo e interruppe le trasmissioni per una
buona mezz'ora spruzzando vernice rossa sulle lenti delle telecamere e sui
muri.
Tornado alla storia di Udo, Roska e Manrico trovarono il tedesco,
riuscirono a parlarci (Roska rimase anche vittima di uno strano agguato) e a
convincerlo a tornare in Italia a raccontare ai giudici istruttori del processo
su piazza Fontana e le bombe di Roma quello che aveva visto. Udo con mille
problemi e disavventure arrivò a Milano alla fine di luglio: in cinque giorni
raccontò ai magistrati cinque versioni differenti della sua storia cadendo in
palesi contraddizioni, sostenne tutto e il contrario di tutto, al punto che i
giudici lo incriminarono per calunnia e lo rispedirono in Germania. Dal 4
agosto 1972 di sono perse le sue tracce.
Anche i compagni della controinformazione rinunciarono a
cercarlo. Su di lui si erano addensati tanti e tanti infamanti sospetti che non
fu più ritenuto così importante parlarci. Molti lo definirono un mitomane ma
senza spiegare come facesse un mitomane tedesco di 23 anni a sapere così tante
cose a meno di 24 ore dalle bombe. Altri ritennero che seppure avesse detto la
verità ai carabinieri il 13 dicembre qualcuno fece in modo che la sua
testimonianza venisse resa inattendibile, venne cioè messa in atto una
strategia attraverso la quale la reputazione di Lemke fosse talmente
pregiudicata da non poter più essere presa in considerazione.
Oggi a distanza di 46 anni sarebbe interessante sapere, al di
là della sentenza della Cassazione, che ruolo abbia avuto Udo nella
preparazione degli attenti e anche nell'inchiesta. Di certo c'è che le ritrattazioni così
clamorose, quella confusione creata attorno alle piste nere fu molto utile a
quanti volevano sviare le indagini dai veri responsabili della strage.
Udo è un personaggio marginale ma se si analizza il suo
comportamento ci imbattiamo in tante e tali stranezze che sembrano pianificate
a tavolino: è un personaggio che spunta fuori dal nulla, riesce a spostarsi con
grande facilità per trovarsi in situazioni che meriterebbero di essere
chiarite; sparisce, riappare, parla e poi ritratta, passa per pazzo ma dice
cose che alla fine la Cassazione ha dovuto in qualche modo ammettere. Il giorno
dopo gli attentati aveva già indicato la pista nera, già aveva parlato dei
rapporti tra la mafia e l'estrema destra, già aveva parlato di quel piano
eversivo che verrà rivelato solo mesi dopo. Il giorno dopo le bombe aveva già
scagionato gli anarchici.
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